Diritti riproduttivi nelle coppie lesbiche

Il Tribunale per i Minorenni di Trieste, con sentenza n. 37/2024 depositata il 18 ottobre 2024, ha disposto l’adozione di un bambino da parte della donna che ha contribuito alla sua nascita attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita condotte in Spagna.

Il Tribunale per i Minorenni di Trieste, con sentenza n. 37/2024 depositata il 18 ottobre 2024, ha disposto l’adozione di un bambino da parte della donna che ha contribuito alla sua nascita attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita condotte in Spagna. In questo caso la madre, da oggi anche legalmente, del bambino, ha donato i propri ovuli alla coniuge perché questa portasse avanti la gravidanza. La gestazione e il parto sono state quindi affrontati dalla moglie (id est “unita civilmente”), la quale ha partorito in Italia ed è stata pertanto riconosciuta, in quando partoriente, madre. Per la legge italiana infatti, ai sensi dell’art. 269, comma 3 del Codice Civile, è madre colei che ha partorito.

Nonostante il legame biologico, a cui tanta rilevanza ha dato, in altri casi, giurisprudenza italiana, quando si tratta di riconoscere il legame biologico tra un bambino e la madre che ha donato gli ovuli, tale importanza improvvisamente viene meno e prevale l’interesse per il sesso delle persone che formano la coppia che ha messo al mondo il bambino. Una donna può – e, secondo alcune posizioni conservatrici, deve – essere madre, ma a patto che sia unita ad un uomo che possa riconoscere il figlio come proprio. Se infatti la maternità è data dal parto, nel nostro ordinamento, la paternità è data in primo luogo dalla presunzione legale garantita dal matrimonio. Se la donna che partorisce è sposata, padre sarà il marito. Con buona pace della biologia. Se la stessa donna è unita civilmente con un’altra donna, la propria coniuge non sarà invece considerata madre “iuris et de iure”. C’è di più, se un uomo volesse riconoscere il bambino come proprio, anche fuori dal matrimonio, potrebbe farlo senza che ciò comporti alcuna indagine sul patrimonio genetico dell’uomo. Viceversa se un uomo volesse far valere i propri diritti come padre provando il legame genetico con un test del DNA, potrebbe farlo. La stessa cosa non è invece consentita ad una donna o ad una persona assegnata donna alla nascita, la quale, pur potendo provare il legame genetico in quanto donatrice degli ovuli, non potrà rivendicare la propria genitorialità/maternità (vedi il post sulla questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Como). La maternità come posizione giuridica trova la sua fonte solo nel parto e non da altri elementi genetici.

Il nostro ordinamento giuridico è ancora fortemente ancorato ad una visione estremamente patriarcale della filiazione. Le donne, entro questo sistema, possono “fare figli” solo se hanno accanto un uomo, che sia il marito, o un’altra persona di sesso maschile che li riconosca. I bambini, a loro volta, hanno diritto ad avere due genitori che si prendano cura di loro, li mantengano, li educhino e garantiscano loro lo sviluppo della loro personalità, solo se questi due genitori sono di sesso diverso, o, per meglio dire, solo se almeno uno dei due sia anagraficamente un maschio.

Non è legalmente previsto in Italia che le donne decidano di fare figli da sole. La formula per gli atti di nascita che tuttora viene usata per riconoscere un figlio di madre singola prevede che ella lo abbia concepito da una unione “naturale” con un uomo, il quale non abbia poi riconosciuto il bambino. Non è contemplato il caso che la donna abbia portato avanti una gravidanza con altre tecniche che non prevedano la congiunzione carnale con un uomo e ove queste tecniche prevedono che al donatore sia vietato il riconoscimento del figlio.

Le donne singole non possono accedere alle tecniche di fecondazione assistita (vedi il post sulla questione di costituzionalità ora pendente alla Corte Costituzionale italiana).

Le donne singole non possono nemmeno adottare (anche questa questione è all’attenzione della Corte Costituzionale a seguito dell’ordinanza del Tribunale per i minorenni di Firenze del 20/05/2024).

Analoga sorte nel caso in cui le donne siano in coppia, conviventi, unite civilmente o sposate (all’estero), con un’altra donna.

I corpi delle donne, in quanto corpi che si riproducono, sono da sempre sottoposti al controllo medico e statale affinché la riproduzione avvenga secondo i criteri dettati dallo Stato. Sembrano lontani i tempi dello stigma per le “ragazze madri” o sui “figli adulterini”, eppure, leggendo bene le norme del Codice Civile italiano, il decreto ministeriale che regolamenta le formule per gli atti di nascita e della Legge sulla fecondazione assistita, ci accorgiamo che invece non è cambiato molto e che le donne che scelgono di essere madri fuori dai confini stabiliti dal diritto italiano, devono scontrarsi con lo stigma, gli ostacoli burocratici, i tortuosi percorsi per avere i medesimi diritti e doveri degli altri genitori.

Oggi festeggiamo la sentenza n. 37/2024 del Tribunale per i Minorenni di Trieste nel procedimento che ho avuto l’onore di seguire come avvocata delle due madri, ma con l’amarezza di ricordare che per ottenere questa sentenza la madre, intenzionale, sociale e, in questo caso anche biologica, del bambino, ha dovuto aspettare due anni, essere stata sottoposta ad esami e controlli medici e di polizia, colloqui con psicologhe e servizi sociali, essere passata al vaglio del controllo statale sulla sua idoneità ad essere genitore, essersi dovuta avvalere di un’avvocata, aver dovuto sostenere un’udienza in Tribunale, e tutto questo mentre suo figlio è restato privo del suo diritto ad avere due genitori anche per la legge, e la piena tutela, nei primi due anni della sua vita.

 

La foto pubblicata a corredo di questo articolo fa parte del progetto Dreaming of Zeno, per cui la fotografa Annalaura Cattelan, che gentilmente ce ne ha concesso l’uso, ha seguito la storia della nascita del bambino che oggi è stato riconosciuto figlio di entrambe, anche legalmente, dal Tribunale per i Minorenni di Trieste. Ringrazio Annalaura Cattelan per il suo prezioso lavoro.